Season Of Mist |
Eravamo cinque amici al bar, che volevano cambiare il mondo…della musica; si potrebbe parafrasare una citazione di un famosissimo brano del nostro Gino Paoli, e per presentare questo disco. No, non sono matto, ma se vi dicessi i nomi di chi fa parte di questa band, ma sarebbe meglio definirlo supergruppo in ambito estremo, sareste d’accordo con me. Qui ci sono tutte vecchie conoscenze riunitisi per questo secondo album; il primo sotto il marchio della label francese; un concept completamente dedicato a Lovecraft. Signori e signore gli Alkaloid son: Hannes Grossmann (Obscura, Necrophagist, ecc.),Morean (Dark Fortress, ecc.),Christian Muenzer (Obscura, Path of possession, ecc.),Danny Tunker (Aborted, God Dethroned),e infine Linus Klausenitzer (Obscura); se non è un supergruppo in ambito estremo questo, non so cosa possa essere. L’opener “Kernel panic” inizia con trame prog che hanno un sapore quasi settantiano portato all’estremo; sentitevi le trame dei due chitarristi Muenzer e Morean; i controtempi del motore ritmico, è poi arriva la progressione in totale stile death metal col growling di moreran,e descrivono bene i nostri i meandri dell’universo del solitario di Providence. Grande livello tecnico/musicale, che da ampi squarci estremi su un tessuto prog, sentitevi i solos squisiti. “Azagathoth” ci porta davanti ad una delle divinità diaboliche e piene di follia cosmica dell’immaginario dello scrittore horror novecentesco; percussioni arabeggianti, riffing ribassati, controtempi; dissonanze infernali, il growl possente e profondo si mischia con un timbro pulito sporcato, e diversi cambi di tempo di stampo estremo. La trama è squisitamente mischiata tra prog e death tecnico, con riffing dissonanti, rullate assassine e solos lancinanti. “Interstellar boredoms” è un riffing estremo ossessivo, e la voce del nostro ricca di riverbero a richiamare spazi siderali con le rullate di Grossmann e il basso che compie trame e architetture sonore; anche qui il dualismo vocale sporco/pulito è presente, il brano reca l’impronta prog estrema, cambi di tempo, riffing scurissimi, blast beats e dissonanze. E adesso veniamo al piatto forte, ovvero la suite conclusiva “Rise of the cephalopods” ; una giostra sonora dove la tensione viene sempre rimarcata, da un inizio arpeggiato, dissonante e minaccioso; il growl del singer è intenso ed espressivo. Poi esplode la trama prog estrema tra trame di chitarra contorte, rullate, mid tempo melodici; perché ricordatevi, qui la melodia è sempre presente in ogni singolo brano. Un saliscendi sonoro lungo quasi venti minuti dove death metal tecnico, sapientemente dosate, accelerato, e spinto all’estremo, si unisce con un sapore progressive nel finale, chiudendo il cerchio con un solo spettacolare. Un disco estremo, ma pieno di passione, calore, e tecnica suonata mirabilmente; un disco eccezionale che farà la felicità di molti, me compreso, the Great Old Ones are back!
Voto: 8.5/10
Matteo ”Thrasher80”Mapelli