Mario Pogliotti- 1961 - Il Cantacronache ben temperato n.7 (EP, vynil) e tutte le altre




TRACKLIST
1 Tiro a segno
2 La ruota
3 Uno uguale a me
4 Questa democrazia

EXTRA:
5 E’ fatto giorno - Ricordo di Rocco Scotellaro (45 giri, 1964)
6 Un paese vuol dire non esser soli - ricordo di Cesare Pavese (45 giri, 1964)

FORMAZIONE 
Mario Pogliotti- voce 
Fausto Amodei- Arrangiamenti e probabilmente chitarra (tr. da 1 a 4)
Fiorenzo Carpi- orchestrazione (tr 5 e 6)

Sono doppiamente colpevole, lo ammetto senza riserve. Per prima cosa perché ciò che vi presento oggi non è esattamente raro o introvabile. Poi perché  sono ben consapevole che questa proposta esula un po’ dal solco Stratosferico, ma d’altra parte nel tempo abbiamo spesso portato i nostri lettori/ascoltatori su strade abbastanza eterogenee, sicché permettetemi di proporre alla vostra attenzione quello che personalmente reputo, con Fausto Amodei, uno dei più grandi autori degli albori della canzone d’autore italiana. 


Se Mario Pogliotti (Torino, 1927- Aosta 2006) non è celebrato e ricordato come il grande Amodei è soprattutto per la sua esigua produzione che praticamente è tutta qui, in questo EP di 4 brani uscito nel 1961 nell’ambito della produzione dei Cantacronache e in altre due canzoni apparse in un 45 giri del ’64, anch’esse legate allo stesso modello e orchestrate da Fiorenzo Carpi.


Già, i Cantacronache: impossibile qui tratteggiare in poche righe chi furono e cosa hanno rappresentato per la storia musicale del nostro Paese, sicché se volete saperne di più, potete leggere, tra le tante fonti, QUI. 
Per il momento, vi basti però sapere che i Cantacronache furono un’imprescindibile esperienza culturale e musicale che tra il ’58 e il ’62 stese in Italia le basi di certa canzone d’autore, basi sulle quali poi poggiarono i piedi giganti come Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori e, ancor più, Francesco Guccini.


Tra i tanti eroi di quella stagione (oltre allo stesso Amodei varrà la pena ricordare almeno Sergio Liberovici, Margot, scomparsa da poco, M.L.Straniero, Piero Buttarelli, Duilio Del Prete e, per la parte dei testi, autori come Gianni Rodari, Italo Calvino e Franco Fortini), il nostro  Mario Pogliotti si ritaglia una sua particolarissima posizione, non solo per la sua dislocazione romana (i Cantacronache avevano base a Torino, città di origine, peraltro dello stesso Pogliotti), ma soprattutto perché le sue canzoni, pur obbedendo a certi stilemi polemico-satirici, si stagliano con notevole forza grazie a testi intelligenti e precisi (millimetrici nella loro lucidità) e grazie a un’ispirazione musicale niente affatto banale. 

Nel pugno di canzoni che ci ha lasciato, la  più conosciuta è forse Un paese vuol dire,  una meraviglia ispirata dalle poesie di Cesare Pavese (nello specifico quello di “Lavorare stanca”) e a lui dedicata, un brano che ha goduto nel tempo di diverse esecuzioni, da Gigliola Cinquetti a Giovanna Marini, da Bruno Lauzi a Milly, dai Gufi a, più recentemente, Ernesto Bassignano. Ma il brano più impressionante, a mio parere, è Questa democrazia, satira perfetta dell’Italia del boom economico, di una società come quella degli anni ’50 che permette sempre più libertà superficiali per negare quelle sostanziali.
A prossimo di questo EP lo stesso Pogliotti ebbe a dire:

«Mentre gli altri usavano toni più diretti, da “j’accuse”, io avevo un approccio apparentemente più morbido, ma facendo finta di parlare a favore cantavo contro. Il mio disco del 1960 si chiamò, infatti, “Cantacronache ben temperato” perché applicai delle parole dure a motivi molto delicati, quasi bachiani. ”La ruota”, per esempio, è una fuga.»

Se “Tiro a segno” appare troppo ideologizzata e semplicistica (e, alla luce di quanto succederà nel decennio seguente, un po’ macabra), più centrate appaiono l’apologo storico de “La ruota”,  il quasi madrigale di “E’ fatto giorno”, tratta da una poesia dello scrittore, sindacalista e politico Rocco Scotellaro (interpretata anche da Maria Monti in “Dal vivo-Bologna 2 settembre 1974”, disco condiviso con Dalla, De Gregori e Venditti che potete recuperare QUI in un post dell'ottimo Franc-One) e “Uno uguale a me” in cui convivono impegno sociale e lirismo.


Dicevamo che la produzione di Mario Pogliotti, perlomeno quella a suo nome, termina qui, in questo breve volgere di tre anni.
Pogliotti, infatti, seguendo il consiglio dell’amico Piero Angela, preferì fare strada in RAI come autore (inventando trasmissioni cult come Non stop e La Sberla) e come giornalista a tutto campo, dai reportage di guerra a servizi culturali, tecnologici e d’inchiesta, fino a diventare caporedattore della sede RAI della Valle d’Aosta. Nella veste di autore RAI, tra i tanti meriti, ha quello di aver scoperto e portato in TV la Smorfia, il gruppo di Massimo Troisi, nonché quello di aver vinto nel 1962 con Ennio Santostefano il “Premio Italia” per il primo radio-documentario stereofonico della RAI, “Ascolto di una città”, la cui copia è andata purtroppo perduta. 

Pur coinvolto negli impegni lavorativi (cui aggiunge il romanzo "Il guanto della Beresina", Rusconi, 1980), e pur abbandonando la canzone impegnata e l’attività discografica, Pogliotti non lascia del tutto l’ambito musicale, circoscrivendola al jazz (con la montagna, la sua grande passione) scrivendo i testi di alcuni brani, tra cui “Caro Natalino” e “Dottor Swing”, interpretati da Natalino Otto, o  “Mi sei rimasta negli occhi” per Fred Buscaglione. Non disdegna, tuttavia, incursioni anche nel campo della musica leggera (“Sono timida”, per Jula de Palma, “Hai rifiutato le mie rose” per Marino Barreto Jr.) o del cabaret come la divertente “America” per Pippo Franco (“America, che ce vengo a fa? Io resto qui a Bergamo alta”), ma è anche da citare la sua collaborazione con Gigi Proietti per cui scrive due monologhi (“L’Avvocato” e “La telefonata”) del suo fortunato spettacolo “A me gli occhi, please”, poi testimoniato nell’album “Luigi Proietti dal vivo”, 1977. 

Per finire una curiosità che è anche un’ammenda: contrariamente a quanto affermato più sopra, il brano più famoso di Mario Pogliotti è probabilmente un altro, seppur non ufficialmente accreditato: parliamo de i “I crauti”, canzone da puro avanspettacolo che, attraverso Franco Nebbia, arrivò a Monica Vitti, che la rese nota in diverse apparizioni in TV,  tanto da essere scambiata per un pezzo popolare, con le sue false accreditazioni (Ivan della Mea) e le conseguenti varianti (si pensi a “I fichi”, che Guccini pose a chiusura del suo “D’amore, di morte e di altre sciocchezze”, 1996).

E’ tutto, più o meno.

Come sempre, buon ascolto!



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