Il primo interprete libero del trombone jazz: Roswell Rudd

Sembra che sia stato un pezzo dal titolo Everywhere, di un signore di nome Bill Harris, che abbia acceso l'ispirazione di Roswell Rudd, trombonista deceduto il 21 dicembre scorso nel silenzio assoluto dei grandi canali di comunicazione, ma direi anche nella ridotta esposizione seguita da molta stampa specialistica. Ma tra Harris e Rudd c'era molta differenza: probabilmente Rudd si era innamorato degli accenti di tono e del vibrato di Harris, ma aveva una visuale più ampia e tutt'altra filosofia nel suonare; partendo dall'ottica dell'improvvisatore Rudd ha saputo unire parecchi binari dello sviluppo musicale del jazz, riesaminando alla luce dei tempi dixieland e swing, provocando le relazioni con il free jazz e la creatività emergente dell'epoca e, con una passionale ricerca, è andato a fondo nell'osservazione etnomusicologica. 
Come correttamente segnalato da Berendt nel suo libro The Jazz book, il talento di Rudd venne fuori nell'ambito degli October Revolution Jazz organizzati nel '64 a New York da Bill Dixon, concerti in cui si sollevarono definitivamente dall'anonimato musicisti come Sun Ra, Paul Bley e Milford Graves. Rudd portava un nuovo stile nel trombone jazz e nelle sue procedure improvvisative, in linea con le tendenze libere del jazz di quegli anni: con Roswell vennero coniati per il trombone nuove qualità di approcci e di suoni, dalle spigolature (qualcosa che sembrava potesse appartenere solo al piano di Monk) alle sbavature (il legato veniva messo in un angolo), dal glissato pronunciato (un concentrato filosofico dell'epoca) alle radicalizzazioni dei suoni raw, dog, wild e clatter (tecniche estensive che in quegli anni cominciavano a viaggiare timidamente nelle orbite dei compositori della classica contemporanea); in più Rudd aveva una visione musicologica del suo strumento, frutto dell'assistenza a Lomax e a certe sue teorie sulla cantometria, che lo portava ad affascinanti scoperte e similitudini proprio con il mondo della vocalità (di qualsiasi estrazione geografica) e della musica locale. E' un concetto quasi magico quello che Rudd ritiene a proposito del suono del trombone e della formazione delle note: "...you blow in this one end and a sound comes out the other end that disrupts the universe...".
Rudd partecipò alla celebre iniziazione free del New York Art Quartet, nonché a Communications nelle grazie del Jazz Composer's Orchestra di Michael Mantler e Carla Bley, prima che l'aggregazione diventasse veicolo delle produzioni personali dei musicisti coinvolti (Rudd produsse per suo conto la Numatik Swing Band, un progetto di free jazz che arriva in piena cognizione di giudizio dopo il quintetto di Everywhere (con Logan, Kenyatta, Worrel ed Harris) e soprattutto quello che discograficamente può essere considerato la sua prima registrazione su vinile nel '65, un album omonimo inciso con un quartetto per un'etichetta francese (con Tchicai, Von Eyben e Moholo l'album venne pubblicato nel '71): in queste plurime sedi musicali si apprezzano totalmente le nuove soluzioni, la nuova corrente libera dei suoni e le parentele con lo studio timbrico del trombone. Gli amanti del jazz potranno celebrare qualche anno più tardi quello che si ritiene sia il suo capolavoro: nel '75 Rudd incise l'essenziale Flexible flyer, un'equilibrata miscela di cover e brani propri sviluppati con un quintetto (Hod O'Brien al piano, Arild Andersen e Barry Altschul alla sezione ritmica e Sheila Jordan alla voce), che dimostra come Rudd fosse bravissimo anche nel creare parti strutturate in mezzo ad atmosfere adeguatamente armonizzate sulle orme della storia del jazz e realizzate su percorsi più melodici. Fu una disposizione che Rudd mise al servizio della musica, lavorando successivamente e con notevole profitto ad una progettualità incrociata con Steve Lacy, gli olandesi storici del free jazz, Archie Shepp, Enrico Rava e tanti altri. 
In studio o in concerto Rudd suonava sempre a livelli altissimi e realizzò un sogno quando ebbe la possibilità di suonare con Toumani Diabate nel 2000 a Bamako, incidendo Malicool, un cd che fu pubblicato due anni più tardi. Da quel momento si intensificarono gli esperimenti tra improvvisazione ed elementi folk: cercò corrispondenze con il canto mongolo (con la Mongolian Buryat Band, un gruppo con cantanti throat), con la chitarra portoricana di Yomo Toro (il cuatro) e quella cubana di David Oquendo, con una visione stimolante della musica, sinceramente cosmopolita e condivisibile, mai tentata dalla retorica, ma affrancata dal fatto che lo stile delle esibizioni popolari non fa altro che richiamare strutture/modelli di comportamento che hanno che vedere con l'organizzazione sociale di quelle comunità. D'altro canto l'improvvisazione libera non fu per niente trascurata: dal '96 fino alla sua morte Rudd si fece un giro con gli improvvisatori inglesi (Elton Dean, Keith Tippett, Paul Dunmall), si contrappose in maniera significativa a quelli statunitensi (Steve Swell, Mark Dresser, Allen Lowe), non lasciandosi assorbire dalle ulteriori radicalizzazioni della tecnica o dell'elettronica. Tuttavia resta una figura altissima nella storia del suo strumento. E per un motivo essenziale, quello di essere riuscito per la prima volta a creare (in uno strumento apparentemente poco conciliabile) un modello di espressione, un linguaggio musicale senza gerarchie, che è proprietà di chi lo suona, aprendo così le porte alla molteplicità del sottostante comunicativo del trombonista, di un suo idioma che attinge alla simulazione sonora e al dialogo relazionale, utilizzando i benefici di una perdita tassonomica delle modalità di suonare del trombone.

_____________________________
foto in alto tratta da All About Jazz.


Subscribe to receive free email updates: