Ci sono un paio di letture per esplorare e comprendere quanto fatto in musica da Mika Vainio.
La prima lettura dedica spazio al musicista, ai suoi interessi, alla sua voglia di sperimentare: Vainio ripeteva spesso nelle interviste di sentirsi un uomo che aveva solo cercato punti di contatto tra la musica elettroacustica e la techno industriale, ma in verità la formula era molto più ampia; probabilmente segnato dalle esperienze dei rave party, Vainio sviluppò uno strano senso di quella particolare emozione vissuta in una folta generazione dedita alla musica danzabile, quella generazione che aveva iconizzato gente come i Rolling Stones e tanti gruppi rock come emblemi del sentimento dell'eccitazione. Decisamente infiltrato nella materia psicoacustica e nelle intersezioni impensabili con le altre arti, l'arrivo di Vainio supera di netto tutto quanto musicalmente prodotto dall'esaltazione in musica, con gli Stones messi in un angolo di fronte alla potenza subliminale del finlandese. Vainio è uno spartiacque, che si aggancia ad una visione attualizzata del rumorismo e che è intransigente sugli aspetti psicologici della musica, trovando un nesso persino nell'insolito rockabilly di Hasil Adkins. E' un primato che il musicista finlandese condivise con più ascendenze, nei Pansonic con Ilpo Vaisanen (e per poco con Sami Salo), nei suoi progetti solistici, con gli pseudonimi di Ø, Philus o Tekonivel. Per l'esperienza del duo Pansonic, Vainio subì anche un importante influsso, quello del costruttore Jari Lehtinen, il membro "invisibile" del duo, che gli procurò la strumentazione adatta e il fascino dell'andare oltre i limiti fisici della musica espressa in termini di frequenze.
Quando Vainio irrompe nella scena musicale, siamo negli ultimi anni del Novecento e c'è il vivido sentore che stanno per aprirsi nuovi orizzonti, una rincorsa verso nuove caratterizzazioni del rumore e dei suoni insoliti che copre, con tanti pseudo enigmi, gli effetti di quella musica che solitamente non è udibile o è al cospetto del danno fisico: Vainio esce indenne dalle auto sparate a 5000 watts, dall'instabilità dei rumori di un'installazione a 13 hertz di regime, dai reflussi delle sperimentazioni celebrali alla Lucier, quando contemporaneamente molti suoi fans hanno accusato problemi e malori. Con buona superficialità quest'attività del "drogarsi" di rumore viene da alcuni trascinata nel vortice della definizione di bellezza della musica, dei suoi poteri salvifici e del senso da attribuire ai comportamenti. L'esaltazione dei decibels, utile per rendere concreto l'effetto, conclama un ambiente, lambisce territori ambigui, dove il compito della musica è quello di produrre una "spazzolata" delle orecchie (se si ascolta in cuffia domesticamente) e del corpo (se si ascolta dal vivo), che diventa sorella anche di un modo intelligente e selettivo di ballare. Quella di Vainio è musica perfettamente in tema con i tempi, che richiama le "differenze e ripetizioni" di Deleuze, con un probabile sbocco terapeutico così come succede nel progetto di Novi_sad, dove Vainio lavorerà sulle tempeste del rumore decametrico e le tempeste radio di Giove per curare l'ansia dei bambini e i disturbi bipolari (1).
La seconda lettura ha a che fare con l'estetica e con il comportamento affine di un compositore. L'idea è di affrontare ciò che resta in termini di eredità della sua musica: Vainio fu uno sound sculpture dei più sopraffini, uno di quelli che persino i compositori blasonati della contemporanea avrebbero voluto sentire; Vainio cerca una chiave logica allo stesso modo con cui un compositore cerca di costruire dei pezzi che abbiano nelle loro parti un intrinseco collegamento; anche la sua è composizione non dichiarata e si intuisce che i risultati ottenuti giacciono su una lunga tela di abbinamenti, che non solo tendono a squarciare il velo su un ritorno in pompa magna del fattore "elettricità" come tratto morfologico essenziale della sua musica, ma anche a comporre un mosaico di intenzioni e relazioni. E' un corpo composto di pensieri sonori che Vainio si porta con sé, che addomestica nella sua techno, che usa nelle installazioni, nel partecipare o porre in essere progetti innovativi di improvvisazione elettroacustica (vedi quanto successo con il quartetto di Vladislav Delay), e in quella ricerca speciale sui rapporti tra la musica e l'immagine di qualunque tipologia che costituiscono bozze incredibili di futuro non speso: penso a quanto intuito Vainio ha utilizzato con la fotografa Joséphine Michel (2) o a quanto stava deducendo in materia cinematografica con il regista Mika Taanila (3), problematiche che interessano il mondo della composizione accademica tanto quanto quello dei musicisti autodidatti e provenienti dal basso della catena formativa.
A livello discografico Vakio del 1995 (primo atto dei Pansonic) è l'atto ufficiale del cambiamento, bissato con altrettanto successo dallo splendido Kulma, da A e Aaltopiri, così come indispensabili sono il Metri e Olento sotto nomenclatura Ø e il Tetra sotto le fila Philus; questo parco di registrazioni che fa da sponda al nuovo millennio è una sorta di iniziazione, di patrimonio genetico che Vainio si porterà dietro per affrontare tutte le nuove progettualità, con quel picco profuso nel target incredibile di Kesto, schizzo astratto di oltre 4 ore, palindromo di suoni dove centinaia di misure e battute condensate nell'esperienza analogica del rumore (a fil di dita), mettono d'accordo Subotnick, Stockhausen e Throbbing Gristle e rilanciano sulla possibilità di ottenere informazioni metafisiche da una zona oscura e periferica della materia sonora.
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Note:
(1) vedi quanto scritto in Tra verdetti neurali e rumori a temperatura variabile
(2) vedi quanto scritto in La ricerca della visibilità dei suoni
(3) vedi quanto scritto in Alla ricerca di nuove forme di sinfonismo digitale