Gli appassionati di jazz conosceranno benissimo quanto è successo negli anni settanta del secolo scorso in merito alle evoluzioni del sassofono: sulla spinta di un interesse rinnovato nelle possibilità estensive e libere dello strumento, i maggiori rappresentanti del sassofono jazz si cimentarono con moltissime capitalizzazioni del suono, lavorate su diverse dimensioni, quanto a numero e direzioni delle forme utilizzate; tra quest'ultime, il quartetto di sassofoni, classicamente compreso nella formula SATB (ossia soprano, alto, tenore, baritono), rappresentò un'idioma a cui venne riservato un gran successo: il World Saxophone Quartet o il Rova Saxophone Quartet di Raskin trovarono molta popolarità, ma senza dubbio la formula del quartetto era già partita qualche anno prima grazie alle sperimentazioni degli improvvisatori inglesi (Skidmore, Surman, Osborne, Dean, etc.), alle aggregazioni effettuate da Roscoe Mitchell in Noonah (con Threadgill, Jarman e McMillan) e alle mappature numeriche del Braxton di New York, Fall 1974. Però, ciò che mi interessa rimarcare in questa sede, è che una scrematura dei quartetti di sassofoni in rapporto a quelli lavorati solo sui soprani, porta ad un impressionante minimizzazione di repertorio e di attori. I quartetti SSSS (tutti soprano) sono stati visti con molto sospetto per via di ragioni di timbrica complessiva: i compositori classici li hanno trascurati per paura di mostrare una sostanziale inerzia del suono, anche se poi stranamente hanno sviluppato aggregazioni di sassofoni ancora più numerosi dove i soprani avevano un peso considerevole, mentre gli improvvisatori si concentrarono sulla dialogicità e le possibilità di ottenere novità dalle tecniche estensive. Dopo un'accurata ricerca, si può consapevolmente affermare che i pochi compositori e musicisti impegnati in una nuova valutazione specifica e sperimentale degli strumenti abbinati sullo stesso registro, abbiano percorso tutto sommato un paio di strade: una viene dalla lezione di Steve Lacy, l'altra è figlia delle moderne situazioni sonore della musica classica.
Per quanto riguarda Lacy, il suo Saxophone Special del 1975 (dove una ricomposizione al soprano avviene senza di lui, con Evan Parker, Steve Potts e Trevor Watts in Sops), ha dato parecchia ispirazione alla composizione di Elliott Sharp, che nel 1997 compose Approaching the arches of Corti, un quartetto di soli soprano tutti rigorosamente straight (cioè senza curvatura), in modo da sfruttare la tecnica estensiva di piazzare lo strumento sui polpacci, in modo da abbassare il range dello strumento; Sharp, prendendo anche spunto da un concetto melodico di Curt Sachs, quello del "tumbling strain" derivato dal canto, costruì un pezzo energico e volatile con cadute di tono improvvise, inserite in alcuni punti della partitura. Approaching the arches of Corti è diventato il fiore all'occhiello del repertorio di un quartetto di sassofonisti di New York, il New Thread Quartet (G. Landman, K. McKoen, E. Rogers, Z. Herchen), che non hanno sopportato una benché minima concorrenza in materia.
L'altra sovrapposizione si può trovare, invece, tra Ata 9, partitura del 1999 del compositore svizzero Alex Buess e il quartetto di sassofonisti soprano denominato S4, condotti dall'inglese John Butcher: è un filo conduttore anche geografico che lega questi artisti, poiché i quattro sassofonisti dell'S4 sono pure illustri svizzeri (Urs Leimgruber, Christian Kobi e Hans Koch). Quanto ad Ata 9, fu lo svizzero Marcus Weiss ad organizzare il quartetto relativo tutte S, un pezzo che per la prima volta tende a sviluppare il concetto di "atmosfera assoluta" per questa combinazione: Buess dichiarava che "...cette atmosphére résulte du souffle des quatre exécutants. Le fondement de la composition est une série de notes non tempérées, dérivées de neuf gongs balinais à mamelon. Ces instruments "capricieux" me fascinent, vu qu'il est impossible d'en cerner et d'en définir le timbre. Ils représentent pour moi un monde totalement réfractaire à la numérisation, donc à la normalisation..."; Buess utilizza le sue conoscenze dell'elettronica per attuare processi di decomposizione e rigenerazione dei suoni, seguendo delle sequenzialità che, trovandosi nel mezzo di un equilibrio instabile della tonalità, riescono ad imprimere nell'ascolto quella sensazione vagante ed organica. L'idea di Butcher e soci, pur essendo totalmente improvvisata, tende anch'essa verso una valenza delle strutture sonore: Cold Duck, cd pubblicato nel 2010 che raccoglie tali strutture, è realmente un episodio raro nella libera improvvisazione, poiché costruisce un panorama sonoro unico negli spazi creati dalle innumerevoli tecniche estensive, elaborate sul momento improvvisativo (vedi qui un estratto della loro esibizione allo Spazio O di Milano nel 2016). Ho letto alcune cose della stampa piuttosto deterrenti su questa musica, scritte con incredibile superficialità e senza considerare a fondo l'incredibile umanità che si ricava da queste combinazioni: sebbene la situazione immaginativa indotta da una titolazione sia qualcosa che gli stessi compositori cercano di ottenere dai loro esecutori, il riferimento improbo al linguaggio animale è comunque molto contenuto nelle linee di un prodotto che, senza titolo, non darebbe agganci di quel tipo: il quartetto di Butcher è lontanissimo da operazioni come ad esempio "Three Blokes" di Coxhill-Lacy-Parker (un cd del 1995 per tre sax soprano), ma punta nell'orbita di interesse di Butcher, che tende a captare un mondo sonoro microscopico e lo vuole sottoporre all'ascoltatore.