Poche note sull'improvvisazione italiana: "estensioni" dell'area toscana

Parlando spesso con gli amici improvvisatori italiani nelle cornici disponibili dei concerti, uno dei timori più fondati è quello che l'improvvisazione libera vista come disciplina unica, con il suo corpo di pratiche e leggi dell'emancipazione dei suoni, possa essere gradualmente cancellata negli interessi delle nuove generazioni, che di fronte alla difficoltà di comprensione dell'audiance, scelgono di percorrere strade meno impervie nell'approccio musicale, solo teoricamente durature. 
Oggi la situazione italiana non è diversa da quella statunitense o degli altri paesi europei: se è vero che esistono distretti geografici in cui coloro che hanno coltivato lo spirito e il linguaggio del Derek Bailey di Improvisation, its nature and practice, sono riusciti ad ottenere proseliti validissimi, è anche vero che in quei distretti le novità hanno un compito difficilissimo, ossia trovare nuove soluzioni che diano il senso della continuità e siano effervescenti al punto tale da mettersi contro la solita limatura dei budget e degli ascolti nei concerti. La tenuta di questi poli di interesse è comunque un merito che va condiviso tra veterani e gioventù, poiché entrambe le parti hanno tratto maggior forza proprio dall'integrazione delle loro idee e dei loro progetti. Tra le tante, una dimostrazione viene dal distretto toscano, soprattutto Pisa e Firenze, dove una storica rappresentanza di musicisti viene accompagnata dalle prestazioni di alcuni giovani che potrebbero considerarsi "vivaio" del posto, se dovessi utilizzare un improprio termine calcistico. Improvvisatori del tutto particolari come Eugenio Sanna o Edoardo Ricci, attori di un ciclo di difficile gestazione, si ritrovano in posti storici per condividere la loro esperienza con nuovi musicisti, latenti assimilatori della loro musica e di alcuni aggiornamenti della lezione di Bailey. 
Prima di spendere due parole sulla gioventù toscana improvvisativa attraverso una rapida osservazione del loro lavoro, vorrei fare eco alle preoccupate evidenze ed agli arrabbiati pensieri che coinvolgono alcuni musicisti del settore, in merito alla solitudine che la stampa, e in generale gli addetti al settore, riservano a figure storiche dell'improvvisazione italiana come Sanna o Ricci. Aldilà degli sbandieramenti soggettivi che spesso entrano in gioco in questi discorsi, al riguardo c'è un patrimonio vero e proprio da preservare e una coerenza stilistica da rispettare: se qualcuno ha letto le mie recensioni passate su Sanna, Ricci e sugli aggregati da loro posti in essere*, capirà il ruolo da loro avuto ed il perché delle preoccupazioni; quello che hanno fatto questi artisti si può paragonare  (con i dovuti adattamenti logici) ai governanti di uno Stato che hanno un ruolo scomodo, perché devono governare nella difficoltà e in un sistema che non attira nessuno; tuttavia qualcuno lo deve fare, perchè è assolutamente necessario, e perciò chi lo fa ne sopporta una grande responsabilità. Ricci, Sanna ed altri musicisti toscani sono passati nei territori impervi dell'improvvisazione, cercando di mettere assieme l'enfasi cerebrale della musica con l'economia dei mezzi della piazza, passando in mezzi a tante relazioni interdisciplinari (danza, teatro, destrutturazioni, culture, terapie, impegno sociale, etc.). Per esempio, quando il pianista americano Thollem McDonas ha avuto la possibilità di incontrare Edoardo Ricci in Italia, ne è rimasto affascinato dal carisma e dallo stile, il più segmentato in Italia ed uno dei più segmentati ed unici nel mondo (i due improvvisarono qualcosa in una casa in pietra tra le colline a ridosso di Firenze, con un vecchio piano incredibilmente riportato a vita nonostante un'immensa scordatura).
Una settimana fa, al Cantiere San Bernardo, si è tenuto un probabile battesimo di fuoco dei giovani improvvisatori toscani: nell'ambito della rassegna Istanti Sonori (vedi qui un'estratto), Eugenio Sanna ed Edoardo Ricci (in veste di pluristrumentista ai fiati) si sono uniti al chitarrista David Lucchesi, allo sperimentatore di forme sonore Andrea Borghi (giradischi preparato, dischi di pietra e di legno, piccole programmazioni sonore da computer), Chiara Lazzerini (trombone, trumpet tascabile e conchiglie) e Devid Ciampalini (rullante ed oggetti), per un set dai risvolti volutamente congestionati, dove le creazioni istantanee, nel loro frazionamento, seguono invece una logica di percorso, in una situazione di crescente ed apparente disordine sonoro che, però, disegna chiarissimi scenari immaginativi. Gli intorni della chiesa di San Bernardo di Pisa continuano ad essere un centro di gravità dell'improvvisazione regionale toscana, uno spazio sfruttato fin dai tempi del C.R.I.M. (il Centro per la Ricerca sull'Improvvisazione musicale).
C'è però ancora qualcos'altro, nel frattempo. Il chitarrista David Lucchesi ha anche fondato una sua etichetta impro, denominata Tecniche Estese, ed assieme a Devid Ciampalini ha messo su 5 pezzi untitled (S/T), che compongono un lavoro completo, una sorta di potenziale cd sottopostomi da Lucchesi. E si tratta di un validissimo lavoro di improvvisazione, con molti aspetti da segnalare, a cominciare dagli oggetti utilizzati, ossia viti di varia grandezza, delle molle, un agitatore per cappuccino, oggetti in vetro e percussivi, tutti elementi che sembrano perdere la loro stranezza sonora e si intrufolano nell'improvvisazione come aree di art sound. Quanto ai pezzi: la traccia 1 apre un canale elettroacustico, che si concentra nella ricerca dei punti oscuri delle parti fisiche della chitarra e delle percussioni, per trarre novità in termini di suoni; si intuisce come le costruzioni improvvisative risentano di una conoscenza del mondo del noise, del field recordings e dell'espressività tirata fuori direttamente dal corpo strumentale, sebbene qui non ci sia assolutamente elettronica di quel tipo; nella traccia 2 si punta al sincronismo dei timbri, con l'amplificazione che fa i miracoli e fa credere di avvertire simulazioni di rumori del vero; le vibrazioni imposte sulle corde e il giro evolutivo compiuto sugli oggetti percussivi attrae molto, e ha una sua intensità sonora, tanto che ad un certo punto sembra di assistere all'estrazione della grata di un tombino delle fognature. La traccia 3 manda in circolo gli strapazzamenti e gli stridori senza urtare le ragioni del godimento sonoro; c'è un humus leggermente dadaista e un certo processo di continuazione di quanto Sanna ha fatto nella sua musica. Direi che intanto Frisell si è dato alla fuga. Nella traccia 4, ancora diversità, l'andamento improvvisativo è a strappi, grappoli di suoni e loro risonanze che vengono esaltati, con rumoristica strumentale che istiga al pensiero di un movimento forzoso di un'impalcatura di un certo spessore. Una natura dialogica si avanti nella traccia 5, con Lucchesi molto electrical plugs e Ciampalini che riesce a tirare fuori suoni-rumori dotati di una loro tetra armonicità.

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Nota*:
puoi trovare considerazioni su Ricci e Sanna in questi articoli: 1 - - 3



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