In Music for Solo performer Alvin Lucier, posto in uno stato di meditazione, indossava sul cranio un cerchio di elettrodi da elettroencefalogramma, la cui attività (che nella regola medica sarebbe visualizzabile graficamente su un foglio di carta chimica) veniva amplificata e smistata a mò di segnale elettrico su percussioni, che in tal modo si animavano per effetto proprio di quegli impulsi. Questo "processo" musicale assecondava l'incremento delle conoscenze derivanti dall'elettronica del periodo, con più motivazioni da raggiungere: la percezione acustica di un fenomeno assolutamente silenzioso (gli impulsi che si svolgono nel cervello), un valore artistico da poter cogliere nella rappresentazione (poiché i suoni comunque ottengono una via di uscita sonora) e la possibilità di cominciare a sfruttare la musica per esperimenti interdisciplinari (utilità messe a disposizione per la comunità scientifica). Da quel momento, con una velocità impressionante, lo sviluppo tecnologico ha implementato nuove apparecchiature per costruire analisi nettamente più evolute dei tempi di Lucier: si è infittito il rapporto tra ricerca scientifica e musicale, grazie ad una più proficua collaborazione tra ricercatori e musicisti, e alcune delle principali innovazioni ottenute nella diagnostica medica si sono rivelate utili per l'applicazione musicale e i suoi rapporti con le cognizioni mentali; tomografie, neuroimaging funzionale, risonanze magnetiche, Spect e magnetoencelografia hanno rinforzato quelle tenue speranzi derivanti dagli elettroencefalogrammi, usati anche da Lucier. In pochi decenni è stato possibile costituire una ricca serie di esperimenti, soprattutto in quella branca delle neuroscienze che si occupa di studiare le connessioni del cervello in relazione a determinati stimoli.
Tra i molti ricercatori impegnati in queste relazioni, la dott.ssa Alice Mado Proverbio è sicuramente una delle più attive in Italia: alla Bicocca milanese, la Proverbio insegna Neuroscienze cognitive, ha svolto moltissime indagini nel campo musicale grazie all'apporto di allievi, compositori ed esperti di musica (da Vittorio Zago a Giorgio Colombo Taccani, da Andrea Pestalozza fino a Rossella Spinosa). La Proverbio ha appena pubblicato un libro, dal titolo Neuroscienze cognitive della musica, per Zanichelli Ed., che in maniera completa documenta tutti gli sforzi che sono stati fatti in materia per cercare giustificazioni scientifiche o genetiche a ciò che deriva in vario modo dal mondo musicale: diviso in 13 capitoli, il testo della Proverbio ha natura interdisciplinare, poiché fonde gli argomenti scientifici (tipicamente affrontati con il linguaggio medico) con le tematiche musicali, e gode di una grafica eccellente, dove i testi vengono accompagnati da figure, foto e tabelle statistiche esaustive ed a colori. Per chi ha una cognizione parziale delle mappature del cervello o non le ha proprio, Neuroscienze cognitive della musica rappresenta anche lo spunto giusto per cominciare ad averle o approfondirle, fermo restando che la materia viene trattata con molto ordine, evidenziando le parti del cervello coinvolte nei tanti stimoli che appartengono all'iniziativa musicale. La Proverbio vi chiarirà le idee sull'esistenza di un'attitudine alla musica, su quanto è stato sperimentato sui feti o sui neonati, sulle zone che attivano l'immaginazione musicale, su come funziona il cervello di un cantante o su quanto succede leggendo uno spartito; commentando i risultati di tanti esperimenti (propri ed altrui) apre un finestra su nuovi fronti della ricerca, dai neuroni audiovisuomotori a quelli a specchio (l'analisi scava sulle relazioni empatiche degli ensembles o dei segnali dei direttori d'orchestra), dai miglioramenti che l'apprendimento musicale può provocare nei dislessici o nella malattia con perdita motoria o di cognizione, a ciò che succede ai circuiti neurali negli atti improvvisativi. Un fascino particolare riveste il capitolo sulla neuroestetica della musica, ossia le connessioni della mente con il discernere contenuti emotivi, capitolo in cui le analisi vengono arricchite da testimonianze, connotazioni estetiche di alcuni pezzi di musica classica o contemporanea, per scoprire persino effetti indiretti sulla pressione sanguigna, come risposta a stimoli multipili di musica atonale, priva di ulteriori paradigmi positivi: i risultati dimostrano non solo che un cervello allenato riesce ad equilibrare meglio i suoi stati emotivi, ma anche che è possibile riscontrare gioia, armonia o comunque sentimenti positivi nell'ambito di una musica preparata con dissonanze o eccessivamente complicata. Non c'è nulla che non possiamo apprendere, superando la naturale sensibilità che ci fa soffermare sulle frequenze consonanti.
Neuroscienze cognitive della musica, dunque, rilascia un interesse vario: è valido per i terapisti, per ampliare le conoscenze dei musicisti, è un testo chiaro e immediatamente consultabile per studiosi della materia; naturalmente non ha pretese di approfondire dal lato organizzativo della composizione e quindi non prende in considerazione il punto di vista della composizione nel costruire una mentalità precostituita nel far musica, sfruttando le relazioni della musica con il cervello*.
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*Nota
su questo aspetto, ho già avuto modo di fornire su queste pagine alcuni splendidi riferimenti: puoi consultare I neuroni magici: musica e cervello di Changeaux/Boulez/Manoury (vedi qui la mia recensione) oppure verificare su composizioni come Lexicon del compositore Andrew Lewis (a proposito per esempio della dislessia, vedi qui).