Una linea di sperimentazione ben corroborata negli ultimi anni da compositori e musicisti anglosassoni sembra quella che si adopera per dare una continuazione logica alle teorie di Cage: si tratta di inquadrare il silenzio, scoprire le sue qualità e costruire sindromi della percezione acustica. Circa 3 anni fa la compositrice Jennie Gottschalk scrisse Experimental music since 1970, uno splendido libro edito per la Bloomsbury Academic, che univa passato e presente di tanta musica estratta dalle implicazioni di circa cinquant'anni di attenzioni profuse verso un certo tipo di innovazione compositiva: tra le righe di quel testo la Gottschalk attribuiva (tra le tante riflessioni e segnalazioni) un posto importante a quel movimento nato con Beuger come Wandelweiser, ma con tanti adepti nella realtà americana ed inglese. Un eco di Experimental music since 1970 si avverte anche nel nuovo libro che la Gottschalk ha scritto ancora per Bloomsbury, assieme ai compositori inglesi Richard Glover e Bryn Harrison: stavolta si tratta di un case studies dal titolo Being Time, approfondimento sul tema della "visibilità" acustica del tempo in musica, attraverso una selezione piuttosto azzeccata di composizioni in grado di farla rivivere. I tre compositori hanno scelto e si sono divisi il materiale d'ascolto, costruendo al contempo anche una discussione estetica tra di loro: Glover ha letteralmente sezionato l'esperienza d'ascolto di Piano, Violin, Viola, Cello di Morton Feldman e quella del doppio abbinamento Compatibility hides itself/511 possible mosaics di James Saunders, due opposti/estremi esempi di duration della composizione; Harrison si è occupato di tracciare una riflessione tra separazione e continuità in Gradients of detail della compositrice Chiyoko Szlavnics' e nelle pulsazioni dei tre movimenti di +/- di Ryoji Ikeda; mentre la Gottschalk prende in esame il tempo "granulato" del Toshiya Tsunoda di O Kokos tis anixis e quello monolitico di pezzi come The Expanding universe di Laurie Spiegel e Musik fur orgel und eine(n) tonsetzer(in) di André O. Moller.
Dalla selezione effettuata si evince come la scoperta del tempo in musica, una circostanza presente già nella coscienza filosofica greca, qui venga usata ad usi sperimentali: la lunghezza o brevità di un apparato temporale o le possibili manifestazioni del "tempo", rese in linguaggi e forme musicali differenti possono celare o sollecitare una scoperta, perché puntano all'emersione di suoni nuovi, intrappolati nella microtonalità o nelle variazioni/ripetizioni della musica. I tre autori sentono di proporre una loro storia d'ascolto e cercare una condivisione con i lettori attraverso un'opportuna attività di cernita delle relazioni immaginative indotte dalla percezione: in Being Time sembrano indispensabili antecedenti i volumi di Jonathan Kramer e Maurice Merleau-Ponty in merito ai significati e alle fenomenologie della musica e, sebbene l'analisi corra il rischio di tediare un lettore che è solo interessato ad acquisire notizie, non è secondario il fatto che si ponga come materia di spunto per una conclusiva informazione sulla temporalità sperimentale, costruita con metodologie che hanno poco a che fare con le tradizionali correnti della musica classica. Chi segue con frequenza le pubblicazioni discografiche dell'etichetta inglese Another Timbre o Erstwhile R. è conscio di una costante divulgazione di una musica che si irradia nei territori del riempimento del silenzio e di un minimalismo spurio o, meglio ancora, considerato riduzionismo imposto su partiture e quantità di note: tutto questo viene visto come un canale di sviluppo eccellente della musica dei prossimi anni poiché molti compositori sperano di trovare ancora negli oggetti, nello spazio o nella matematica inoltrata nei suoni parziali (quelli non visibili su una tastiera di un pianoforte) un raggio d'azione per riscoprire una solida linea di ripristino della bellezza della musica, anche in chiave spirituale, dove la temporalità può fare la sua egregia parte. Being time invita, quantomeno, all'ascolto dei pezzi segnalati e a riconoscere la loro consistenza sul piano delle strutture soniche, dando credito alla validità di processi di composizione su cui alcuni, ancora inspiegabilmente, nutrono dubbi.